Il bagno era distante dalla baracca. Ogni volta, dopo la doccia, mi avvolgevo nell’asciugamano e mi avviavo lungo la strada, come in campeggio. La postura di una ladra, piena di vergogna stringevo al petto il beauty-case, come se fosse stato un’arma pericolosa. Dentro c’ero io, io ero nel beauty, non nel corpo grande che dondolava stupito. Quel tragitto mi faceva sentire sola: era una sensazione nuova, che ignoravo. Non mi sono mai sentita bene, sola, fino a quella settimana. Ho imparato il lusso della solitudine.
La cosa che ho amato di più, però, è stata la luce. Pregare dentro quella tenda arancione, sentire la potenza del silenzio unire il mio sentire a quello di centinaia di sconosciuti. E poi il potere della musica, mantra ripetuti in coro per lodare la luce. Quella liturgia di Risurrezione, splendida. Quando lui lesse il mio sorriso, lo compenetrò poichè lui stesso sentiva quel calore di rinascita, e mentre Gesù risorgeva un’altra volta in noi mi disse: – Sei felice.
Sì, lo ero. Ero sulla strada, ero al posto giusto. Ogni lacrima e ed ogni sorriso erano nel giusto, Lui era la via. Io dovevo solo seguirla.
E poi le colline. I fiori e l’erba. Ballare sola per onorare un defunto, piangere le lacrime che un tuo amico non riesce a piangere. Sederti sull’erba del prato, osservare dei ragazzi tedeschi cantare intorno a una chitarra e intanto mormorare i versi di Dante sottovoce: come perle per ricordare chi sei. Taizè ha cambiato ogni cosa, ha spalancato le porte del cuore, mi ha insegnato che una foto con una mano sulla spalla non è un crimine (ma che fatica, per comprendere che non è per farsi male).
E poi lui.
Chiaro di luna
Mi viene in mente una sera del passato.
Eravamo seduti vicini, ma non ci guardavamo. Il mio sguardo indugiava sui confini tra la strada e il marciapiedi, resi più confusi dall’oscurità. Lo evitavo: non si guarda in quel modo l’uomo di un’altra donna.
Lui non so cosa guardasse, comunque non me. Una brezza leggera increspava la pelle delle mie braccia; lui, figlio del Nord, pareva non accorgersene. Attendevamo che i nostri amici finissero di prepararsi per andare a bere qualcosa: era una sera di tarda estate, e noi eravamo stati i primi ad esser pronti. Non mi ero neppure truccata. Un silenzio come quello non mi capitava da anni, durava da almeno cinque minuti.
A un tratto, ho guardato l’ombra proiettata in terra dal palazzo di fronte al muretto su cui sedevamo. Ne ho percorso i contorni, come a riconoscerne la sagoma, e sono arrivata fino ad un punto dell’asfalto su cui quell’ombra non si stagliava più. Un fazzoletto di strada più chiaro, su cui il raggio della luna poteva sopravvivere senza essere soffocato dalle ombre dei palazzi. Ho alzato lo sguardo a raggiungere la luna: non ancora piena, non particolarmente grande, eppure così drammaticamente chiara. Sentivo il petto fremere e il respiro farsi violento, perché sentivo di amarlo. Era una cosa del tutto irrazionale, dal momento che lo conoscevo da appena sei giorni. Parlava a stento la mia lingua. E soprattutto, era l’uomo di un’altra. Una ragazza sconosciuta, bella come una stella, che mi ispirava persino simpatia nel racconto che lui ce ne faceva.
Quel raggio di luna, tuttavia, aveva rischiarato a giorno la mia anima. Avrei potuto evitare l’aggancio perfetto dei nostri sguardi nei momenti più inattesi. E avrei potuto cercare di ridere di meno con lui, di stare sola con lui il meno possibile. Ma non avrei potuto evitare la consapevolezza di quello che sentivo. Amore. In una forma strana, forse più ideale che reale. Eppure Amore era il solo termine che potesse in qualche modo descriverci.
Ricordo di essermi voltata nella sua direzione. Lui mi stava già guardando, o forse si era semplicemente voltato a causa del fruscio dei vestiti al mio movimento. I nostri occhi si sono mescolati istintivamente, come facevano troppo di frequente. La luna era lì, a illuminare la strada davanti a noi, che invece stavamo nell’ombra. Avrebbe potuto dirmi tante cose, invece forse voleva solo che smettessi di conquistarlo con i miei difetti.
– Don’t say “so” at the beginning of a sentence. It’s not polite.
E se invece avessi letto nello sguardo sbagliato?
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