Ricopre i contorni delle cose, e di colpo niente ha più un colore, nè un odore. E’ come la morte, ha le braccia bianche, livella e uniforma; eppure non è irreversibile, perchè fra poco sarà sciolta. Per il momento, però, siamo tutti uguali sotto di lei. La neve è democratica, puoi essere un eroe o un morto di fame, un tombino o un celebre palazzo: non puoi sfuggirle. Nasconde o rivela?
Avrei voglia di essere anch’io coperta di neve. Come la protagonista di uno dei miei romanzi preferiti, Dizionario dei nomi propri (di Ameliè Nothomb: leggetelo, solo una donna francese potrebbe scrivere così). Plectrude, la ballerina mortuaria, in una delle scene cardine del romanzo, riesce a innalzarsi a eroina grazie alla neve. La neve si impossessa di lei, la copre tutta, e lei anzichè risvegliarsi gode il gelo dei sensi, l’assenza di sensazione. Come un pupazzo di neve umano. Niente più sentire, niente più pensare, nessun corpo in cui sentirsi sbagliata. Avrebbe un senso, sarebbe come immolarsi per la bellezza del mondo.
Comincio a dimenticare il tuo odore. Non mi ricordo più il suono della tua voce. Non so più chi eri, e quindi è come se un frammento di me sia morto. Fiocchi di neve, gelo, freddo: è stato il mio modo di amarti e adesso non sembra niente, solo la solita poesia di ogni anno, niente di speciale. Se la neve avesse un rumore, quello sarebbe il suono della nostra storia, viva nella mia testa forse più che nella vita reale. E me lo sono dimenticata; capisci? E’ stato come il giorno in cui ho aperto il portafogli e mi sono accorta che non c’era più. Ero seduta sul pullman, ho cercato il tuo biglietto da visita con gesto meccanico, come si cerca un rossetto: e non c’era. Ho svuotato tutte le tasche, niente. Non era da nessuna parte. Lo avevo perso, e con lui un pezzo di noi, e quindi di me.
A volte mi chiedo cosa sarebbe stato se. Ed è in quei momenti che vorrei essere neve.
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